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N° 55 | Schemi di take-back: fra greenwashing e soluzione al problema?

settembre 08, 2023

Pile of used clothes

Come sappiamo, il fast fashion ha avuto un notevole impatto sull'industria dell'abbigliamento: dietro i prezzi bassi e i rapidi cicli di produzione si nascondono problemi quali la crisi ambientale e lo sfruttamento dei lavoratori. La rapida produzione di abiti di bassa qualità destinati a essere indossati per un breve periodo non fa altro che aumentare la quantità di rifiuti che riempiono le discariche. Inoltre, il riciclaggio e il riutilizzo sono resi difficili dal fatto che il fast fashion si basa su materiali sintetici ricavati da combustibili fossili, le cui fibre non sono biodegradabili e diffondono microplastiche nell'ambiente. In aggiunta, da un lato la maggior parte degli abiti scartati non è riutilizzabile a causa della scarsa qualità o della mancanza di domanda di abiti di seconda mano, dall’altro le tecnologie di riciclo sono ancora inadeguate.

Per dimostrare il passaggio a un modello circolare, un numero crescente di marchi sta istituendo schemi di take-back, ovvero programmi di “ritiro e recupero del fine vita” tramite i quali i consumatori possono restituire gli abiti usati affinché questi vengano riutilizzati o riciclati. È emerso che in realtà pochi dei marchi che implementano questi programmi controllano realmente cosa accade agli abiti dopo che sono stati raccolti. Il report di luglio 2023 della Changing Markets Foundation “Take-back trickery: an investigation into clothing take-back schemes” ha dimostrato che i programmi di ritiro ai fini del recupero creano l'illusione che l'industria della moda stia tentando di affrontando il problema dei rifiuti. Tuttavia, nonostante le crescenti promesse di riutilizzo e riciclo – secondo questa analisi - il 60% degli abiti raccolti sono in realtà soggetti al downcycle (ovvero triturati per creare oggetti di valore inferiore come materiali isolanti, panni per la pulizia o imbottiture per sedie) o finiscono per essere buttati, distrutti (tramite termovalorizzazione), mentre altri vengono spediti nel Sud del mondo, aumentando il fardello di paesi che non sono in grado di gestire questo volume di rifiuti, che possono poi contribuire all’inquinamento e degrado del territorio. Considerato che in Europa vengono scartati ogni anno circa 11 kg di indumenti a persona (European Environment Agency, Textiles in Europe’s circular economy, 2019), se il destino degli indumenti evidenziato in questo report riflette il più ampio mercato degli indumenti usati e donati, il problema che si presenta è davvero significativo.

La Changing Markets Foundation dimostra chiaramente che i programmi di take-back dei brand vengono utilizzati come strumento di greenwashing, consentendo di ostentare la circolarità, ma evitando un cambiamento sistemico concreto e significativo. Queste iniziative creano ai consumatori un falso senso di responsabilità ambientale, che viene sfruttato dai marchi stessi che incoraggiano attivamente il consumo tramite incentivi come buoni o sconti al momento della consegna dei capi usati. È chiaro che l'industria della moda necessita di un richiamo e di un grande sforzo per iniziare ad allinearsi all'imminente tempesta normativa. Difatti il 5 luglio 2023 la Commissione Europea ha pubblicato la tanto attesa revisione della Waste Framework Directive, in cui ha proposto uno schema di responsabilità estesa del produttore (EPR) a livello europeo per prodotti tessili e calzature. Questa proposta legislativa rappresenta il primo tentativo di regolamentare in maniera strutturata le prestazioni ambientali dell'industria tessile e della moda. La normativa richiederà di assumersi la responsabilità dei costi per il trattamento degli abiti a fine vita e per lo smistamento dei prodotti tessili prima della spedizione all'estero. L'imminente legislazione sulle dichiarazioni ecologiche contribuirà, si spera, a smascherare le tattiche di greenwashing, richiedendo prove sostanziali per le dichiarazioni fatte dai marchi sui loro programmi di ritiro.

In un momento così cruciale, è molto importante che sia i consumatori sia i marchi si orientino in questo scenario con consapevolezza. Sebbene i programmi di ritiro offrano potenziali soluzioni per un cambiamento positivo, la trasformazione del settore richiede più di gesti superficiali o parziali. L'autentica sostenibilità richiederà una responsabilità trasparente, un cambiamento sistematico e un impegno collettivo verso un ecosistema della moda veramente circolare.

In Regenesi ci siamo impegnati in progetti di “ritiro e recupero del fine vita” di diverse tipologie insieme a nostri partner o direttamente, e coinvolgendo le nostre filiere produttive con la logica della rigenerazione degli scarti e quella del recupero creativo. Così da un paio di vecchi jeans dei clienti sono nate borse e da vecchie bottiglie di plastica eco-gioielli. In questi progetti crediamo sia necessario integrare la dimensione della sensibilizzazione alla gestione consapevole del prodotto a fine vita, ma anche aiutare a cambiare i propri comportamenti è una delle elementi centrali di questi progetti.

 Un esempio di upcycling di un prodotto fashion a fine vita basato su uno schema di take-back è il progetto “Rigenera i tuoi jeans”in cui preserviamo l’unicità di un paio di jeans ma supportiamo anche una produzione etica, sostenibile e made in Italy. Ritiriamo un paio di jeans e lo trasformiamo in un nuovo prodotto, una borsa, in base alla scelta del cliente tra i modelli disponibili e un servizio butler gratuito. Inviamo un corriere a ritirare il paio di jeans, in una data concordata, e lo restituiremo non appena la sua trasformazione avrà preso nuova forma attraverso le mani dei nostri artigiani.

Inoltre, con Regenstech abbiamo sviluppato un processo industriale che permette di trasformare scarti e rifiuti tessili in materiale termoplastico. Dagli scarti tessili industriali e civili è possibile quindi creare una materia prima seconda riciclata e riciclabile permettendo direttamente alle aziende del settore moda di gestire direttamente la chiusura del cerchio con i propri scarti. Questo offre una soluzione concreta alla facile via di spedire in paesi di sviluppo i capi usati. 

Per noi di Regenesi la transizione ad un modello sostenibile e circolare si basa sul cambiamento dei comportamenti anche attraverso acquisti consapevoli e progetti di upcycling su capi del consumatore e sull’applicazione di soluzioni di alta innovazione tecnologica e applicativa. Come avviene per tutti i nuovi approcci, l’implementazione è faticosa, ma la strada è già tracciata e ora serve impegnarsi collettivamente per metterla in pratica.